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Le figure vivono il peso dell’essere umano, la fatica di un’anima priva di difesa, la concentrazione del dolore di un’esistenza, nell’assenza del piacere e di ogni anelito di riscatto: la condizione amara del soggetto, concentrata nella scultura di Ettore Greco, per forza di modellato della materia,
si evolve in percezione di grido. La mostra, al Museo Le Carceri, ruota attorno alle sculture maschili, alle teste anche femminili, in terracotta, gesso e bronzo, in legame, per risonanze profonde, a molteplici ispirazioni: alle sculture di Donatello, all’espressività di Rodin, quindi alle suggestioni di Camille Claudel. I pieni e i vuoti, gli incavi ed il rilievo, il transito delle ombre e delle luci conferiscono ai tratti dei volti e ai corpi un risalto plastico, che conserva nell’immagine di un vivere difficile una capacità di respiro, sufficiente, nella posizione rannicchiata, tesa, sollevata e piegata a cogliere la poetica dell’ultimo istante; fatalmente espressivi, concentrano vitalità o follia nel sollevare il capo e nel suo rovesciarsi. Greco, diplomato all’Accademia di Belle Arti di Venezia, nel 1992, ha vinto nel 1999 il Grand Prix per la scultura al Salon Grands et Jeunes d’Ajourd’hui di Parigi ed ha realizzato la Débâcle (2006) una grande installazione di oltre mille figure di gesso per la chiesa di Cento (Ferrara). Un suo San Sebastiano in bronzo è stato ospitato al Vittoriale degli Italiani (2011).