Vale anche per le opere di Daniele Marcon l’indicazione che, come per altri rari artisti, i suoi quadri non sono riproducibili. Lo si deve al susseguirsi fra le diverse parti di stesure cromatiche sensibilissime alle minime variazioni del colore: accordi mossi al loro interno da vibrazioni sotterranee che, da tempo, rendono le diverse zone sensibilissime nella diversità al sommovimento del transito della luce.
Queste sono caratteristiche preziose e a rischio per l’unità dell’opera che Marcon, arricchito dall’esperienza espositiva nella vicentina Biblioteca Internazionale “La Vigna” e al Museo Civico di Bassano del Grappa, conduce con sapere, sicuro nel procedere ad ogni minimo variare cromatico fino all’accordo finale del dipinto.
Sono colori ariosi, vibranti nel mutare delle superfici che li distinguono secondo un’ispirata e sedimentata ricerca in zone, ognuna riflettente un‘armonia emozionale e percettiva. Sono teche dove la risonanza della luminosità concilia l’intento d’indagine di Marcon, fino ad accordare ad alcune tessere cromatiche di retrocedere verso lo sfondo o di avanzare dalla superficie pittorica con effetti scultorei.
È un agire, quindi, perseguito negli ultimi anni, che permette alla superficie del dipinto di esprimere modulate finezze cromatiche, rendendo l’opera percettivamente attiva.
Da attento viaggiatore in paesi esotici, Marcon ha scelto attualmente delle stoffe, delle tele dai disegni orientali e le stende su alcune superfici dei dipinti.
Recupera così una nota di storia personale che, ceduta all’opera, contribuisce alla fusione tra l’esperienza pittorica occidentale e il mondo orientale. Soffici e morbidi, i tessuti dal disegno decorativo evocano altre civiltà; accostati poi alle luminose stesure di colore, rivelano una nuova ottica nel pensiero e nella qualità della sua meditata pittura.
A cura di Maria Lucia Ferraguti e Sofia Marcon.