NR. 43 anno XXVIII DEL 23 DICEMBRE 2023
la domenica di vicenza
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La storia di Branco

di Gianna Tessaro
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La storia di Branco

Branco arriva presto la mattina e finisce tardi la sera. Tutto il giorno sta sotto il sole, anche quando le temperature superano i 40 gradi. A volte con la zappa, a volte con il rastrello, a volte con la motozappa. Sempre al lavoro, indefesso, dentro ai giardini del vicinato. Talvolta non si ferma neppure a mangiare. Solo una sigaretta ogni tanto e un po’ d’acqua. Lo guardo lavorare nel giardino accanto al mio, con fare sapiente ed un’esperienza antica. Ha trasformato in due giorni una selva oscura d’erbe e rami in una distesa di terra dove ha seminato il trifoglio che presto renderà il fazzoletto marrone in una piccola distesa verde. «Vuole un caffè?» gli chiedo dalla rete che separa le proprietà «No signora, grazie», mi risponde.

Lui di là, io di qua. Anch’io ho un giardino in divenire, un pezzo di terra da trasformare. Muovo terra e tolgo sassi, cercando d’imitare le suo mosse. Lui mi guarda cimentarmi in un lavoro che non conosco tra ignoranza e caparbietà. Gli chiedo di nuovo «Vuole un caffè, un succo, un po’ d’acqua?». «No, no signora, non si disturbi». «Ma suvvia, un caffè!». «Va bene signora, vada per il caffè». Glielo preparo, glielo porto, lui si ferma e si avvicina alla rete. «Come si chiama?» gli chiedo. «Branco» risponde. «Di dov’è?» incalzo. «Macedonia». Lo tartasso con domande, lui gentile sbotta risposte sintetiche. In breve mi racconta la sua vita di migrante, padre di famiglia di due figli che la guerra dei Balcani ha costretto ad emigrare. In Macedonia era contadino, aveva un pezzo di terra e degli animali che donavano alla sua famiglia il necessario per vivere. Poi la guerra, la paura la povertà. «Tutti partivano per l’Italia e così ho fatto anch’io signora. Ho pagato e mi sono imbarcato». Un viaggio allucinante in mare e poi lo sbarco Puglia. In Veneto degli amici che lavoravano. «Per un anno sono stato clandestino, poi con la sanatoria ho ottenuto il permesso di soggiorno e ho iniziato a lavorare per una ditta che faceva impianti fognari. Andavo in giro per l’Italia tutta la settimana. Poi quando ho fatto richiesta per il ricongiungimento famigliare ho chiesto al datore di lavoro di farmi rimanere in provincia. Lui aveva detto di sì ma quando mia moglie e i figli arrivarono non mantenne la parola. Loro non conoscevano una parola d’italiano e non sapevano neppure andare a far la spesa da soli. Così mi sono licenziato, sicuro di trovare un altro lavoro. Invece sono stato un anno disoccupato. È stato in quel periodo che ho iniziato a fare il giardiniere. Avevo in gestione i giardini di tre industriali della zona. Tutta gente facoltosa, con grandi proprietà da curare. Una famiglia aveva bisogno di una governante per la casa e così riuscii a sistemare mia moglie che tuttora lavora lì. Poi fui costretto a trovare lavoro regolare in un’azienda metalmeccanica, per poter rinnovare il permesso di soggiorno. Ora però l’azienda è in crisi. Siamo stati in cassa integrazione per mesi. Poi la mobilità. Così ho ricominciato a fare il giardiniere. Adesso faccio solo quello, in attesa che qualche ditta mi chiami. Ho cinquant’anni e devo dire che con il rastrello in mano sto bene. Mi piace lavorare la terra. Sono però un po’ preoccupato per il futuro: non c’è lavoro e tra un anno devo rinnovare i documenti. Questo è un problema, signora». Nel frattempo zappa in mano, rastrello e sementi, Branco trasforma i giardini del vicinato. Si è fatto il nome per la sua bravura e per la sua umanità. Silenziosamente, con umiltà e caparbietà si è creato un giro di clienti e anche qualche amico. Ogni sera passa per casa per un aperitivo con mio marito. Sono diventati amici, passano ore a raccontarsela. Parlano di vita e d’amore, di profondità e leggerezze. Nonostante l’amicizia continua a chiamarmi signora. «Meglio così, dice. Dalle mie parti il rispetto è ancora al primo posto».

 

nr. 28 anno XVI del 23 luglio 2011

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